Slovenija praznuje trideset liet, odkar je ratala daržava. 25. junja 1991 je parlament arzglasiu samostojnost in neodvistnost od Jugoslavije, saj je takuo na referendumu šest miescu priet odločilo 88,5 par stuo vsieh tistih, ki so imieli pravico glasovati, in 94,8 par stuo tistih, ki so glasovali.
Že dan potlé je jugoslovanska armada napadla Slovenijo. Tanki so šli iz kasarn in zasedli konfinske prehode, vojaška letala so preletavala novo daržavo. Paršlo je do spopadu in žartev. Takuo de je naslednji dan predsednik Republike, Milan Kučan, na slovesnosti pred parlamentam v Ljubljani zaključu svoj govor z besiedami: Donas so nam dovoljene sanje, jutre je nou dan!
In drug dan je komunistična armada napadla z vso silo in malo kduo je viervu, de bo Slovenija zdaržala. Pa se je zgodiu čudež. Teritorialna obramba je močnuo in pametno branila svojo daržavo. V desetih dneh je premagala sovražnika, ki se je muoru varniti v kasarne in natuo zapustiti Slovenijo.
Do tekrat je bla skor vsa svetovna politika na strani Jugoslavije. Tudi uradna Italija. Pa je sosednja Republika doživiela podpuoru s strani Furlanije Julijske krajine in Veneta. Predsednika Adriano Biasutti in Gianfranco Cremonese sta celuo šla v Ljubjano med vojsko. Ključna za spremembo stališča italijanske vlade do slovenske samostojnosti je bla vloga ministra Carla Berninija, kakor razkrivamo v spodnjem članku po italijansko. Za sosede se je hitro postavila tudi videnska nadškofija z nadškofam Alfredon Battistijem na čelu.
Solidarni s Slovenijo so bli seviede Benečani, Rezijani in Kanalčani. Skor vsi kamunski konseji so sparjeli resolucijo pruoti vojaškemu napadu in v podpuoro neodvisnosti.
Ratati daržava »je biu narvečji politični dosežek slovenskega naroda, ki se je s tuolim pardružiu drugim svobodnim evropskim narodom, ki so že živeli v mieru in demokraciji. S tem smo izpunili sanje, v katerih so stuolietja sanjali naši predniki,« je poviedu Lojze Peterle, predsednik vlade, ki je dosegla samostojnost Slovenije. (U. D.)
Per l’indipendenza della Slovenia, proclamata il 25 giugno di trent’anni fa e riconosciuta dalla comunità internazionale all’inizio dell’anno successivo, oltre alla vittoriosa difesa della volontà popolare contro l’armata jugoslava, furono determinanti gli appoggi di alcune potenze europee. La politica europea e mondiale era in gran parte ostile allo smembramento della Jugoslavia e nutriva forti simpatie nei confronti della Serbia.
In questo quadro, la Slovenia ebbe la fortuna di avere alla guida del proprio Governo un democristiano, Lojze Peterle, molto stimato in Germania, in Italia – due delle principali potenze europee, allora entrambe a guida democratico cristiana. E questo fece la differenza, portando anche al superamento delle diffidenze per il fatto che il presidente sloveno, Milan Kučan, tra l’altro illustre sconosciuto fuori dalla Jugoslavia, fosse l’ultimo leader del Partito comunista.
Anche l’Italia era ufficialmente contraria all’indipendenza della Slovenia, tanto che il ministro degli Esteri, il socialista Gianni De Michelis, ammonì Lubiana che il nuovo Stato non sarebbe stato riconosciuto nemmeno in cent’anni. Eppure, dopo nemmeno sei mesi il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, si recò a Lubiana a consegnare di persona il riconoscimento ufficiale della vicina Repubblica come Stato indipendente e sovrano.
Nel repentino cambio di rotta ebbero un ruolo determinante le Regioni Friuli Venezia Giulia – presidente Adriano Biasutti – e Veneto, ma soprattutto Carlo Bernini, leader della componente Dorotea nella Dc e ministro dei Trasporti nel settimo Governo di Giulio Andreotti.
Nell’impegno di Bernini, morto nel 2011 all’età di 74 anni, nei confronti della Slovenia, c’è il non trascurabile fatto che suo stretto collaboratore al ministero fosse il beneciano Armando Noacco, all’epoca sindaco di Taipana.
A trent’anni di distanza, il segretario particolare di Bernini, Mario Po’, ci ha rivelato importanti retroscena. «Già da presidente della Regione Veneto, Bernini aveva promosso l’adesione della Slovenia (ancora parte della Federazione della Jugoslavia) alla Comunità di lavoro Alpe Adria a cui partecipavano entità substatali italiane, austriache, tedesche, ungheresi, svizzere e jugoslave, cooperando su vari temi. Ciò avvenne dieci anni prima dell’indipendenza slovena ed era il modo allora possibile per affermare la piena appartenenza della Slovenia alla storia, alla cultura, alla società europea», scrive Po’.
«Questa esperienza – prosegue – non era sempre ben vista dai governi centrali, che la consideravano un’ingerenza negli affari interni o, in Italia, un rischioso scavalcamento delle prerogative e compatibilità statali. Per questo Bernini riuscì sempre a guadagnare tutto lo spazio possibile a favore della collaborazione regionale con la Slovenia, senza creare vere situazioni di crisi con i governi. Il coinvolgimento della Slovenia ricevette un impulso paneuropeo con la partecipazione all’Assemblea delle Regioni d’Europa, sotto la presidenza di Bernini, anche quando egli assunse l’incarico di ministro italiano dei Trasporti nel 1989 (anno cruciale per la caduta della “Cortina di ferro”). Questa priorità politica era stata posta del resto da Bernini nel corso dei Vertici a Venezia e Vienna della CSCE-Conferenza per la Sicurezza e Cooperazione in Europa già nel 1987-1988».
Po’ ricorda che nel corso di un summit dei maggiori esponenti italiani della Dc, tenutosi a Padova il 10/11 febbraio 1990 (prima delle libere elezioni in Slovenia, ndr) il ministro Bernini dichiarò «la necessità di un più avanzato impegno politico dell’Europa occidentale verso la Slovenia, innalzando il profilo istituzionale della collaborazione». Questa dichiarazione, secondo il segretario del ministro, «segnò un punto di svolta nei rapporti tra l’Unione Europea e la Slovenia. A questo summit erano presenti, su invito di Bernini, l’allora giovane segretario della Dc slovena Lojze Peterle, poi diventato primo ministro, e l’arcivescovo di Lubiana, mons. Alojzij Šuštar».
Quindi Po’ rivela un fatto poco noto: «Nei giorni del distacco della Slovenia dalla Jugoslavia, giugno 1991, il ministro Bernini decise di lasciare Roma per andare in Slovenia in auto per fare un atto di protezione (concordato con il ministero degli Esteri italiano) della nuova entità statuale che stava nascendo. Non riuscì a raggiungere Lubiana, perché bloccato da una sparatoria subito dopo il confine italiano. Ne sono testimone personale, avendo seguito i fatti in diretta telefonica dal mio ufficio presso il Gabinetto del ministro a Roma».
Infine, «nelle settimane antecedenti il riconoscimento diplomatico della Repubblica di Slovenia, avvenuto dai Paesi della Comunità Europea il 15 gennaio 1992, il ministro Bernini coltivava frequenti contatti con un esponente sloveno (di cui non posso rivelare il nome) che rappresentava il nuovo governo sloveno presso la Santa Sede (che per decisione di Giovanni Paolo II aveva già riconosciuto la nuova Repubblica). Più volte il ministro mi incaricava di portare messaggi politici al predetto esponente nel suo ufficio a Roma in via della Conciliazione. Tutto ciò era finalizzato ad aiutare la Slovenia nelle fasi iniziali della sua esistenza politica».
Po’ conclude sottolineando di poter riferire nella sua nota solo «fatti privi di segreto di Stato».
Per saperne di più sui fatti di 30 anni fa bisognerà, dunque, attendere ancora. (Ezio Gosgnach)