La vita relegata in casa, purtroppo, ha da sempre le sue problematiche, ma esse tendono ad esasperarsi quando lo spazio vitale delle famiglie si riduce a qualche decina di metri quadrati nell’inurbamento parossistico dei complessi condominiali, quando l’abitazione, non trovando spazio a terra, si protende sempre più in alto, una sopra ed a fianco dell’altra, in alveari sempre più ampi.
Dati statistici indicano che già prima del coronavirus giacevano nei tribunali italiani 5 milioni di cause di cui almeno un milione erano collegate alle problematiche delle convivenze condominiali. Se durate la quarantena era difficile procedere nelle denunce, si può comunque ipotizzare che essa abbia esasperato la situazione.
Di certo non tutti nelle aree urbane e densamente abitate dispongono di spazi aperti, di giardini, di aree verdi e quant’altro, e, limitati come sono, quasi agli arresti domiciliari per un lungo periodo possono più facilmente raggiungere alti gradi di esasperazione. Ci sono anche i fortunati, tra cui mi reputo anch’io, che dispongono di una casa con ampio giardino, cosa che permette di poter godere di luce, aria, sole e spazio oltre le mura di casa, senza incorrere nei pericoli di contagio negli ascensori, nelle scale e nei luoghi comuni condivisi con decine e decine di coinquilini.
Tuttavia nonostante ciò, è qui che anche la mia mente va oltre, «va dove mi porta il cuore». E vado nostalgicamente al paesino, alla casa, al mondo «illuminato d’immenso» in cui sono nato. È vero, quel mondo era povero, mancante di quanto oggi il benessere cittadino mi può offrire, tuttavia dotato di un potere di imprinting, che ha fissato quasi di istinto un forte legame con esso. E lo riscopro
Il cuore ti porta anche tra i rovi
Abbiamo visto manifesti colorati sui balconi con gli auspici di una vittoria più desiderata che effettivamente creduta: «Andrà tutto bene!», suoni e canti dai tetti e dai balconi, orchestre improbabili coi suoni raccolti dai luoghi di quarantena più diversi ricondotti, come in un imbuto, dalla magia cibernetica, nel piccolo palco delle Tv casalinghe. Novità che in sé nascondono problematiche ancora tutte da scoprire per il vivere sociale dell’uomo di oggi.
La vita relegata in casa, purtroppo, ha da sempre le sue problematiche, ma esse tendono ad esasperarsi quando lo spazio vitale delle famiglie si riduce a qualche decina di metri quadrati nell’inurbamento parossistico dei complessi condominiali, quando l’abitazione, non trovando spazio a terra, si protende sempre più in alto, una sopra ed a fianco dell’altra, in alveari sempre più ampi.
Dati statistici indicano che già prima del coronavirus giacevano nei tribunali italiani 5 milioni di cause di cui almeno un milione erano collegate alle problematiche delle convivenze condominiali. Se durate la quarantena era difficile procedere nelle denunce, si può comunque ipotizzare che essa abbia esasperato la situazione.
Di certo non tutti nelle aree urbane e densamente abitate dispongono di spazi aperti, di giardini, di aree verdi e quant’altro, e, limitati come sono, quasi agli arresti domiciliari per un lungo periodo possono più facilmente raggiungere alti gradi di esasperazione. Ci sono anche i fortunati, tra cui mi reputo anch’io, che dispongono di una casa con ampio giardino, cosa che permette di poter godere di luce, aria, sole e spazio oltre le mura di casa, senza incorrere nei pericoli di contagio negli ascensori, nelle scale e nei luoghi comuni condivisi con decine e decine di coinquilini.
Tuttavia nonostante ciò, è qui che anche la mia mente va oltre, «va dove mi porta il cuore». E vado nostalgicamente al paesino, alla casa, al mondo «illuminato d’immenso» in cui sono nato. È vero, quel mondo era povero, mancante di quanto oggi il benessere cittadino mi può offrire, tuttavia dotato di un potere di imprinting, che ha fissato quasi di istinto un forte legame con esso. E lo riscopro
come una forza emotiva che invita al ritorno. Quel mondo che ho lasciato fisicamente ancora bambino è stato e rimane soggetto e oggetto pensieri, di cure, di preoccupazione, di impegno di studio e di lavoro. E penso quanto idealmente e concretamente possa valere oggi quel mio mondo, in piccola parte ancor mio, sebbene solo per un lembo di prato divenuto bosco e un antico orto oggi coperto di rovi.
Fu un mondo vivente e vitale per la gente che vi abitava, legata al pezzo di terra che offriva il poco che poteva a furor di fatica e sudore, ma difeso con strenua caparbietà per ogni sua parte.
Appunti storici ricordano quanto gli avvocati cividalesi guadagnassero sulle cause che i valligiani intentavano magari per la proprietà di un castagno, per un metro di terreno sul lato della casa perché ricadente nello spazio dello sgocciolio della gronda. Purtroppo non c’erano più le Banche di Antro e Merso dei tempi della Repubblica di Venezia cui il valligiano potesse appellarsi. Allora giudici e avvocati erano di casa e, conoscendo i propri concittadini sapevano rendere una giustizia più sicura, celere e di poco costo. Ma tant’è, oggi le valli slovene, sebbene i centri principali abbiano seguito in parte i modelli costruttivi cittadini, hanno da offrire spazi, ambienti, ricchezze nascoste e palesi che la natura si è ripresa e che rappresentano un valore appetibile per chi proprio di ciò è carente, se chiuso tra quattro mura prospicenti su strade d’asfalto inquinate dai motori che rubano in pochi percorsi l’ossigeno che lui consuma in anni di vita.
Ecco, mai come oggi luoghi incontaminati come i nostri, dove la natura manifesta tutta la sua vitalità creando un ambiente salubre, bello, capace di rigenerare corpo e anima, si propongono come luoghi ideali, se non proprio per viverci, ma sicuramente per usufruirne nelle forme più alte della tanto decantata ecologia. Se per me è un luogo verso cui mi porta il cuore, per chiunque altro può essere un luogo cui lo puoò portare il vero senso della vita.
Riccardo Ruttar
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