Ancora una volta è il calendario liturgico che consente le prime riflessioni sulla Chiesa slava d’Oriente. In particolare, la speciale venerazione con cui le Chiese orientali circondano il nome di Maria emerge ad ogni pagina del calendario. Andando ancor più nello specifico, ci si accorge che la tradizione bizantina fa emergere non soltanto la riflessione teologica propria della Chiesa, ma anche la pietà popolare contenuta nella preghiera e in particolare in quelle preghiere che sono collegate ad eventi spesso drammatici per le popolazioni che quegli eventi hanno vissuto. Il tutto poggia su quel fitto, indissolubile e prezioso ordito la cui trama non è altro che il filo dell’innografia (le parole) annodato a quello dell’iconografia (le immagini). Parole sacre quindi che trasmutano in immagini sacre, come in un caleidoscopio, e immagini sacre che nelle parole e con le parole assumono contorni reali, divenendo imperituri emblemi di eventi umani altrimenti destinati a perdersi nel tortuoso cammino della storia dell’uomo.
La Chiesa slava d’Oriente riserva allora un posto d’onore a quelle feste mariane che in Occidente saremmo tentati a definire ‘devozionali’ e che sembrano invece chiamate a rinsaldare il legame del tutto particolare tra la Madonna e il genere umano: sono feste in cui la teologia della salvezza legata a Maria Madre di Dio esplode in tutta la sua forza. Ecco allora che, sfogliando soltanto il mese di Giugno, ci si accorge di quanto numerosi siano gli esempi di devozione mariana che la Chiesa slava d’Oriente riserva alla attenzione dei suoi fedeli e delle loro preghiere: tutti questi esempi — di cui per esigenze di spazio non potremo che citare solo alcuni — rientrano nello sviluppo del ricchissimo culto mariano dell’Oriente slavo; tutti non hanno un corrispettivo riscontro in Occidente.
La quasi totalità delle feste della Madonna nella Chiesa slava d’Oriente sono introdotte da una icona, quella che porta il nome della festa, quella che tramanda il legame tra Dio e l’uomo, quella che costituisce il primo ponte con l’umanità, visivo ancor prima che spirituale. Ecco allora che dal buio dei secoli ma illuminate dalla fede si affacciano le icone della Madre di Dio che riferiscono ancor oggi della incessante preghiera di monaci esicasti che lontano dal mondo ma vicini a Dio pregavano non per la salvezza propria ma per quella dell’umanità.
Riemergono allora nomi che abbiamo già sentito e il rigore della fede ad ogni costo: così, il cinque di Giugno è la festa della icona della Madre di Dio di Igor, già appartenuta al monaco S. Giovanni il Teologo ed invocata dal principe passionista Igor Ol’govich durante il suo ritiro nella Kyievo-Pečers’ka Lavra, il Monastero delle Grotte di Kiev. Il giorno successivo, il sei Giugno, è un’altra icona — quella della Madre di Dio Pimenoskaja — a suggerirci il percorso interiore e il suo influsso sulla spiritualità slava si fa sentire a partire dal 1387, anno in cui il metropolita Pimen decise di far giungere in terra slava questa icona miracolosa fino a quel momento custodita a Costantinopoli. Due giorni più tardi sarà il turno dell’icona della Madre di Dio di Yaroslavl, una delle icone più antiche della cristianità slava. La data esatta della sua realizzazione non è ancora stata definita, ma l’icona venne portata a Yaroslavl nel XIII secolo dai Santi principi Vassily e Konstantin Vesevolodovich che da essa ispirati iniziarono il restauro delle molte chiese distrutte dalla invasione degli eserciti tatari del Khan Bam. Ancora eventi miracolosi sono connessi ad un’altra icona mariana, anch’essa tra le più antiche della Chiesa slava, quella definita Bogolubskaja, dal nome del principe Andrea Bogolubsky che nel XII secolo la fece ‘scrivere’ (ricordo che le icone sono scritte, non dipinte essendo in pratica considerate come un vero e proprio testo liturgico) in ricordo devozionale della apparizione della Madonna.
Racconta la leggenda che il principe Andrea, rientrando nel 1155 da una campagna militare, tra gli oggetti di valore rimossi dalla città appena conquistata aveva anche l’icona della Madonna di Vladimir, posta con ogni onore su uno dei carri del seguito. A sette kilometri da Vladimir, il carro che portava l’icona si fermò e non vi fu verso di smuoverlo. Andrea chiamò Nicola, il monaco che seguiva il convoglio, e gli chiese di intonare un Moleben in onore della Madre di Dio. A lungo pregò anche Andrea. Le preghiere del principe proseguirono all’interno della sua tenda finché fu un’altra preghiera ad interagire con quella di Andrea. Era quella della Madonna, nel frattempo apparsa al santo principe con una pergamena in mano e con la preghiera che l’icona di Vladimir non venisse allontanata dal suo luogo di origine e che nel luogo stesso della sua apparizione potesse essere costruita una Chiesa. Andrea realizzò entrambe queste richieste e ordinò che nella nuova Chiesa venisse posta una icona al fine di rendere imperitura la memoria di quell’evento miracoloso: nell’icona della Madre di Dio Bogolubskaja, Maria srotola appunto la pergamena con le richieste di culto di cui si è detto.
Il 26 Giugno è la data della commemorazione di un’altra icona mariana, altrettanto miracolosa, quella detta Tichvinskaja: nella tipologia delle icone mariane può essere accostata al genere Odigitria, colei cioè ‘che mostra la via’. Le notizie miracolose che riguardano questa icona sono molteplici: nel 1383, alcuni pescatori del lago Ladoga, nel principato di Novgorod, scorsero l’icona avvolta di luce nelle acque del lago. Stando ad un antico manoscritto russo del XVI secolo — ‘Il racconto dei miracoli dell’icona della Madre di Dio di Tichvin’ — fu la stessa Madonna a decidere che la sua icona dovesse abbandonare Costantinopoli, preannunciando così la successiva ed imminente caduta di quell’impero. Successivamente l’icona fu vista in alcuni villaggi della zona finché non divenne stanziale nel villaggio di Tichvin. Nonostante i numerosi incendi che distrussero le chiesuole lignee che successivamente custodirono l’icona mariana, essa non si bruciò mai e nel 1613 ebbe nuovamente modo di far comprendere il potere della preghiera. Durante l’invasione svedese e l’assedio di Novgorod, i monaci del monastero decisero di fuggire e di portare con loro la preziosa ed antica icona: i tentativi fatti di staccarla dal muro non sortirono effetto e ciò fu da loro interpretato come un segno che l’icona non ‘voleva’ essere spostata. Rimasero anch’essi e le loro preghiere rivolte all’icona riuscirono a salvare non solo le loro vite, ma l’intero monastero e la stessa icona. L’ultimo miracolo avvenne nel corso di quasi ottanta anni di persecuzione sistematica della Chiesa da parte del partito della Rivoluzione d’Ottobre: l’icona Tichvinskaja superò il crollo di migliaia di Chiese, la confisca ‘in nome del popolo’ di ogni arredo sacro di valore, la loro distruzione, lo spregio di farne legna da ardere, il trafugamento e la vendita all’estero.
Tutto questo sembra ricordare, tra le righe, un Kondàk dell’Akatistos in suo onore: «I pescatori del lago Ladoga videro l’icona tua e del tuo eterno figlio brillare come il sole di mezzogiorno, sollevata sulle acque da una forza invisibile. Questi stessi pescatori invocarono Colui che chiamò i pescatori di uomini affinchè il mondo fosse posto nella rete della salvezza».