L’algoritmo che uccide l’uomo_Algoritem, ki mori človeka

Avevo due anni quando fu pubblicato il romanzo di George Orwell «Nineteen Eighty-four, 1984», noto come «The big brother – Il grande fratello». Un impressionante monito contro il totalitarismo. L’autore nel suo libro lancia diversi messaggi al lettore, soprattutto riguardanti la comparsa sempre più invasiva della tecnologia nella vita dell’uomo, di cui rischia di diventare schiavo. Fu preveggenza quella di Orwell se pensiamo al momento storico in cui stiamo vivendo?

Mi ha turbato la lettura di un paio di pagine dell’ultimo «Venerdì di Repubblica». L’articolo titolava: «Un Grande Fratello di Pechino… La Cina è diventata la società più controllata del mondo». «Telecamere a circuito chiuso con programmi talmente sofisticati da riconoscere un volto da un archivio di immagini sterminato in due secondi. Occhi costanti sulle strade di ogni città. Database di riconoscimento facciale, impronte digitali, cronologia di viaggi, monitoraggio di acquisti online. Codici all’ingresso di case e attività commerciali che la polizia può scansionare per ottenere un elenco di residenti e dipendenti registrati. Anche questo è la Cina di oggi: un’enorme macchina di sorveglianza», scrive l’articolista. Questo e tanto di più si può scoprire leggendo il libro inchiesta «Stato di sorveglianza» di due reporter del Wall Street Journal, Josh Chin e Liza Lin, dopo cinque anni di lavoro in Cina.

Che il sogno finale di un governo autoritario sia quello di usare i dati di ognuno e di tutti per creare una società ingegnerizzata e benguidata tale da poter predire i problemi prima che accadano e quindi soddisfare ogni bisogno sociale prevenendo dissidenze, proteste e conflitti, potrebbe essere un intento positivo, tuttavia porta in sé tali problemi non solo morali, sociali e individuali, ma semplicemente umani che vanno al di là di ogni limite. Finisce il valore di ogni persona in quanto tale; la privazione di ogni libertà diviene un incubo in nome di una sicurezza sociale impostata sul controllo totale e sulla possibile coercizione. Una volta si ripeteva: «Dio ti vede»; oggi sappiamo che «ti vede l’occhio delle telecamere».

Oggi «algoritmo» è un vocabolo che si sente sempre più spesso, unostrumento virtuale che gestisce processi automatici non solo delle macchine industriali, ma anche scelte e comportamenti umani; esso sta mostrando ogni giorno di più la propria invadenza nello sviluppo di quella intelligenza artificiale che ci porta dritti verso un Grande Fratello universale. Un vocabolo che richiama le astronomiche possibilità del mondo digitale, ma indica anche la sempre maggiore invadenza dell’intelligenza artificiale delle macchine nella vita delle società e delle persone. In sé l’algoritmo non è altro che una serie di precise indicazioni per svolgere ogni attività umana e vale per l’intelligenza, ma condiziona o sostituisce pure quella umana.

Come sappiamo, però, la vita dell’uomo sulla terra non pare affatto guidata dalla sola intelligenza. L’uomo possiede qualcosa di più oltre l’intelligenza; l’uomo è anche sentimento, emozione, volontà, passione, cose che la macchina non può avere. E l’uomo privato della libertà perde il vero senso del proprio essere. Cosa ne sarebbe di noi se ogni nostra azione, ogni manifestazione anche privata, venisse monitorata, controllata, interpretata dalle macchine? Quale abuso può esercitare su ognuno un potere totalitario che dispone arbitrariamente di mezzi capaci di orientare e decidere per ognuno di noi ogni nostra scelta?

Il Grande Fratello, oggi, non è più un personaggio di un romanzo del secolo scorso, è una realtà che si sta affermando e ogni giorno acquisisce più potere nella tranquilla nostra incoscienza. La Russia di Putin ci sta dando insegnamenti preziosi sull’uso dell’intelligenza umana che viene spesso fuorviata da altri fattori umani come i sentimenti e le emozioni. La situazione cinese, visto quanto pubblicato dai due reporter ci prospetta un possibile futuro disumano. Perché anche nel nostro mondo, alla faccia delle norme sulla privacy, ci stiamo orientando in quella direzione rinunciando a scaglie di libertà in nome della sicurezza.

Non sappiamo neppure a che livello di controllo algoritmico siamo giunti anche noi, che con telefonini, carte di credito, occhi di telecamere, registrazioni varie, e quant’altro, incoscientemente spargiamo nostri dati a piene mani. È l’algoritmo che controlla già i nostri gusti e ci rimanda, sui social quello che preferiamo. Il rischio è che l’umanità venga guidata e poi costretta nelle sue scelte da algoritmi che di umano han solo l’obiettivo del potere.

Riccardo Ruttar

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